Giacomo Leopardi è uno dei più grandi poeti italiani della
modernità. La sua voce si innalza dal remoto Ottocento per rivolgersi, sempre
moderna e attuale, a noi contemporanei. In un certo senso, si potrebbe persino
affermare che la poesia italiana di oggi non sarebbe quella che è, senza la
grandezza di Leopardi; il che, però, ha portato a considerare come assoluti
della poesia, alcuni modi di concepire l’atto poetico che rispondono più a una
poetica personale o “socioculturale”.
C’è un gran bisogno di poesia. Scrivere poesia oggi è un atto politico, prima ancora che culturale. Per questo, ogni poesia merita ascolto -- Claudio Marrucci
martedì 30 giugno 2015
Leopardi Giacomo, Poesie e Prose
Etichette:
Classici della contemporaneità
domenica 21 giugno 2015
Marco Aurelio, Pensieri
Marco Aurelio non ha certo bisogno di presentazioni.
Ascoltiamo oggi alcuni dei suoi pensieri, fedeli al concetto più classico di
poesia, ovvero alla sua natura di intuizione gnoseologica del vivere e del
vissuto. Poco importa se assume la forma di prosa, di pensiero o di aforisma:
la forma è solo un modo di manifestarsi del contenuto. Ciò che a me interessa è
che dietro la parola si scorga un mondo nascosto, riflesso del nostro, con il
quale, però, rimane un dialogo: dopo le avanguardie, la distruzione delle forme
tradizionali della poesia, e l’ibridazione delle arti, è anacronistico nonché
impraticabile fissare un criterio di distinzione logica tra ciò che è poesia e
ciò che non lo è, basandosi solo sul mero aspetto formale o contenutistico del
componimento.
“Molti granelli di incenso sullo stesso altare: uno è caduto prima, l’altro dopo; ma, in fondo, non fa alcuna differenza.”
I Pensieri di Marco Aurelio sono una riflessione filosofica che assume i tratti della poesia o del poema in prosa, affine a una certa tradizione orientale da Osho a Mao, passando per Kuang-Tsen; o a certa poesia latinoamericana, soprattutto quella di autori di origine giapponese come il Boliviano Pedro Shimose.
martedì 16 giugno 2015
Toni Alberto, Vivo Così
A differenza di molti miei colleghi, io non penso che la
critica letteraria debba essere “a servizio” dell’autore o dell’opera; o
almeno, che lo debba essere nella misura in cui questo servizio si esplicita in
una mediazione tra l’opera e il pubblico, che avviene attraverso la poetica del
critico, il quale non risponde alla domanda “perché un’opera è bella” -visto
che i canoni estetici di riferimento sono stati spazzati via dalla Storia -
quanto piuttosto alla domanda “perché un’opera è indispensabile oggi”.
In un periodo di sovrapproduzione poetica - tecnica e
linguistica - mettere l’accento su alcune questioni è fondamentale per
orientarsi nella giungla dell’offerta artistica e culturale, in cui, tutto
convive con tutto in una spirale ribassista che pare irrefrenabile.
Più che una critica “di servizio”, o una “sociologia
mercantilistica”, la mia vuole essere una critica “di responsabilità”, una
critica in questo senso “che brucia” (ricordando una nota antologia di Renzo
Paris), in cui il critico stesso rischia e si mette in gioco, davanti agli
occhi, - ma soprattutto al giudizio insindacabile - del lettore.
Del resto, amara verità, nel “teatrino” della letteratura
vale il vecchio adagio: tutti sono fondamentali, nessuno è indispensabile,
neanche i grandi classici, neppure i mostri sacri (basta vedere la polvere
sugli scaffali delle biblioteche e le copie invendute, nonostante i prezzi
stracciati, sulle bancarelle del modernariato).
Questo è un duro principio di realtà, a cui nessuno si può
sottrarre.
Con Alberto Toni, Vivo così, Nomos Edizioni, pp.104, euro
14, vado sul sicuro.
sabato 6 giugno 2015
Pacini Bernardo, Perfavore Rimanete Nell'Ombra
Pacini Bernardo, Perfavore Rimanete Nell'Ombra (con foto di Valentino Barachini), Origini Edizioni, Livorno, 2015.
In un tempo di dematerializzazione della parola, l’oggetto
libro torna di prepotenza sulla scena, e da mero supporto tecnico, fisico, si
riappropria della sua materialità e si converte esso stesso in un’opera d’arte.
Così come agli albori della modernità, nel medioevo o nell’antichità, la parola
poetica non poteva essere scissa dalla voce o dal canto che la declamava;
adesso, in un’era di conversione dell’inchiostro in un impulso
elettromagnetico, torna a vibrare la matericità della carta. E lo fa con assoluta
violenza, svincolando l’opera d’arte dalla riproducibilità tecnica;
riproducibilità che, in definitiva, e a posteriori, ha creato più simulacri di
quanto all’inizio ci si potesse aspettare, trascinando verso il basso, con
un’aspirale deflazionistico, non solo l’industria della cultura (i poeti per
loro fortuna, se sono veri poeti, campano di tutto, persino d’aria), ma anche e
soprattutto il godimento estetico.
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