venerdì 31 luglio 2015

D'Errigo Alessia, Pasto Vergine

Personalmente, ho letto troppa letteratura per ritenere che un codice alfa-numerico possa decretare il successo di un libro. Infatti, la mera registrazione di un testo all’”anagrafe dei libri” non garantisce nulla sua qualità; inoltre, considerare “degne di nota” solo le pubblicazioni “ufficialmente riconosciute”, per chi ha letto Hannah Arendt, Franz Kafka o Primo Levi… vuol dire entrare coscientemente in quell’assurda spirale umana che tenta di dominare l’indominabile con griglie e reticolati, inutili, arbitrari e spesso anche demoniaci... i quali, in fondo, nulla hanno a che fare con la letteratura o con la poesia, nei loro significati più elevati.
Lo stesso si può affermare di taluni critici, o presunti tali, che, forse preoccupati da una possibile concorrenza incontrollata e incontrollabile di “nuova poesia”, sembrano scordare, quasi di proposito, che l’arte, quando è vera arte, è sempre sovversiva, perché modifica le categorie attraverso cui noi concepiamo il mondo. Quindi, non deve disturbare, se anche il formato e non solo la forma o il contenuto, di un libro, può essere sovversivo. Nel Novecento, del resto, abbondano gli esempi: dai manifesti delle avanguardie, alle riviste ciclostilate; dalle poesie “faxate” agli ebook, fino al ritorno al libro come oggetto d’arte in sé. 
L’arte e la poesia in particolare esplorano ogni forma immaginabile, perché, in fondo, sono proprio questo: la vetta sublime dell’immaginazione.
Pasto Vergine di Alessia D’Errigo è un libro di poesie immaginifiche, veri e propri impulsi elettrici che prendono forma sotto i nostri occhi per colpire cuore e cervello, restituendoci il frammento di un assoluto che vive in un qui e ora.

 […]Potrei mentirti, calare i veli, tirare giù le coltri, imbrogliarti
ma qualcuno strilla, uno dei tanti, l'altro parla, uno dei muti
ed io rido parlo e sto muta. Forse sono pazza.
Cos’è un libro? La D’Errigo sembra avere una precisa idea al riguardo: un libro è un testo che si ama e si accoglie e si sceglie di condividere con gli altri; non gli estranei, ma persone scelte a cui si è deciso di donare una parte di noi.
La D’Errigo non vuole diventare famosa, magari vorrebbe diventare ricca -i soldi fanno sempre comodo- ma certo non con le sue poesie. 
La D’Errigo, da vera poetessa, disegna parole su granelli di sabbia lasciati in balia dei quattro venti.
[…]così vera da impallidire, mi credi
ch'è così puro l'oblio, se si sente,
intreccio di mani mie,
se si sente, insieme,
io piango.
La D’Errigo non è una novizia, insieme a Antonio Bilo Canella si dedica da anni, ormai, a una forma di improvvisazione totale che fonde musica, parola, canto, danza, pittura, scultura… una forma d’arte che ibrida l’eterno nell’effimero: la Performazione. Una poetessa performer, straordinario ossimoro che la D’Errigo cavalca come fino alle estreme conseguenze.
Io solo appartengo al silenzio, golosa, come le bacche di gelso[…]
Del resto cos’è un libro? Il testo che racchiude, certo, ma solo in minima parte. Un libro è un oggetto il cui valore dipende dalle realtà che unisce o smuove. Entrando in determinati circuiti, assumendo l’ufficialità della carta stampata e della relativa certificazione “all’anagrafe dei libri” (Qualcuno ricorda ancora Il Fu Mattia Pascal?) si dà per scontato che il libro, in qualità non più di testo, ma di ingranaggio di un sistema, possa smuovere quell’acqua che il sistema stesso è in grado di apportare. Un grande mulino a vento, ecco cos’è l’industria editoriale italiana -come tutte le industrie - ed è inutile, sbatterci contro: cari don Chisciotte, i mulini non sono né buoni né cattivi, ma semplicemente mulini che, a volte, possono smettere di funzionare, a tutto danno del mugnaio, prima ancora che dei consumatori... 
Quello che interessa alla D’Errigo non è diventare un ingranaggio del sistema, ma distillare il più puro olio d’oliva della parola poetica, per questo i fronzoli sono ridotti a zero: niente copertina, niente bandella, niente biografia. Quello che importa è il testo lirico della poesia:
Era il mese del mai e del poi quando nacque flebile
era il mese che mai e che fu, ma nessuno disse
era il mese permesso al gelo, paltò e radici
era che mai e poi sì, quando il no sfoglia i fiori
era acqua e grano quando son fermi era per miraggio e visione
ma nessuno disse e nessuno andò nessuno tornò e partì
era ago d'abete pronto all'uso
era ghirlanda
perché ghianda del cuore esposta al ramo fu era per amore e gioia
era per dire e non ridire il giorno
era chiave riposta nel lampo
luce e carne e pascoli e se ne andò
era giglio, perché no.
La poesia della D’Errigo si ispira, probabilmente, a quella di Marceline Desbordes-Valmore, l'unica donna inserita da Paul Verlaine tra i suoi Poeti Maledetti. Eccone un esempio nella traduzione di Antonio Veneziani e Maria Borgese:
Sotto i tuoi capelli d’oro, quando corri sul greto
                            al vento,
se qualche ramo sporgente tocca la tua fronte sognante
                            sovente,
di quest’ala d’uccello non ti curare, figlia mia,
                            nessun terrore,
è un’anima che luccica per baciare la sua bimba,
                            sono io.
Insieme agli altri bimbi che ti fanno così felice,
                            la sera,
quando vai al giardino, abbandonati alla gioia,
                            siediti.
Se ti inquieta non sapere come passo le ore
                            senza te,
a quest’uccello che piange tendi l’orecchio,
                            sono io.
(Marceline Desbordes-Valmore, traduzione di A.Veneziani e M. Borgese)

La D’Errigo si insinua nel solco della Scuola Romana di Poesia, di quel filone femminile che da Amelia Rosselli passa a Maria Grazia Calandrone, per arrivare alle poetesse coetanee della D’Errigo. È un filone romantico e modernista (al contrario di quello maschile, neoclassico e postmodernista) che, a volte, non lesina un intervento “a caldo” sulla matrice emotiva e tollera persino (eredità rosselliana) una certa dose di sperimentazione sulla parola. Queste caratteristiche lo rendono straordinariamente interessante, soprattutto per traghettare la poesia italiana verso lidi più contemporanei, superando la dicotomia, quasi tutta maschile, tra neoclassicismo e neoavanguardismo. Ma avrò modo di parlarne… quello che qui conta è che io credo che il futuro della poesia italiana sia in mano alle donne, e la D’Errigo, forse, è una di queste.




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